una storia apparentemente d'altri tempi, ma...
Non c'era la televisione (pubblica o privata) con la sua
"selezione" poliziesca e allarmistica delle notizie, non c'era
tanta pubblicità, ma un "bravo" venditore faceva ugualmente
i suoi buoni affari...
Dopo alcune interpretazioni, la trama dell'opera e il testo dell'aria
Giuseppe Taddei
http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Taddei
Fernando Corena
http://en.wikipedia.org/wiki/Fernando_Corena
Rolando Villazon
Opera buffa in due atti, musica di Gaetano Donizzetti
LA TRAMA
ATTO PRIMO
In un villaggio del paese dei Baschi.
Di Adina, giovane e ricca, è innamorato Nemorino, un coltivatore del villaggio, ragazzo timido e semplice, che la circonda inutilmente di attenzioni e di profferte amorose. Adina è incostante, capricciosa e mostra apertamente di preferire la corte sfacciata e presuntuosa che le fa Belcore, tronfio sergente di guarnigione del paese. Giunge un giorno al villaggio il dottor Dulcamara, loquacissimo e pittoresco ciarlatano, che smercia - secondo quanto va proclamando - un farmaco miracoloso, rimedio di qualsiasi male. Nemorino abbocca subito: acquista per uno zecchino una bottiglietta di comune liquore, lo beve, sicuro che il favoloso elisir gli farà cadere ai piedi, nello spazio di ventiquattrore, la ritrosissima Adina. Ed è tanta la sicurezza che Dulcamara ha saputo infondergli, che il giovanotto incomincia a cantare ed a ridere, di fronte alla ragazza, come se non si curasse più della sua indifferenza. Adina, sorpresa e piccata da quel cambiamento e, nell’intento di punire Nemorino, accetta la proposta di Belcore di sposarlo quella sera stessa - infatti l’indomani mattina la guarnigione dovrà lasciare il paese - ed invita contadini e amici al banchetto di nozze. Disperazione di Nemorino, che si vede portar via l’amata fanciulla prima che l’elisir abbia prodotto il suo effetto. Egli chiede, invano, che Adina rimandi, almeno di un giorno, il suo matrimonio.
ATTO SECONDO
Nella fattoria di Adina si svolge il banchetto per le nozze della ragazza con Belcore. Il dottor Dulcamara, invitato di riguardo, canta un’allegra canzonetta. Quando si presenta il notaio per il contratto nuziale, Adina esita: Nemorino è assente, la sua vendetta su di lui non è completa. A Dulcamara si presenta, ora, Nemorino, disperato, che gli chiede aiuto. E, poichè il dottore gli consiglia una seconda bottiglia di elisir (Dulcamara pensa intanto di targliar la corda, per evitare complicazioni) e Nemorino non ha più denaro per comperarla, il giovane si fa convincere da Belcore ad arruolarsi, dietro compenso di venti scudi. Nemorino accetta, fiducioso di poter conquistare il cuore di Adina prima di dover partire. Intanto si sparge in paese - ed è la villanella Giannetta a diffonderla - la voce che un ricco zio di Nemorino è morto, lasciando al nipote una vistosissima eredità.
Subito tutte le ragazze del paese circondano di mille attenzioni l’ignaro giovanotto che, nella sua semplicità, crede tutto ciò effetto del magico elisir. Anche Adina si stupisce di quanto accade; ma, a farla capitolare, non sarà nè la notizia del l’eredità, nè l’apprendere da Dulcamara la faccenda dell’elisir d’amore: la verità è che anch’essa, ora, ama Nemorino e tanto più da quando ha appreso che per lei il giovane si è privato anche della sua libertà. Ricomprato da Belcore l’atto di arruolamento di Nemorino, Adina lo consegna all’ingenuo innamorato. E il discorso finisce, come era intuibile, con l’aperta confessione da parte della ragazza del suo amore per Nemorino. La gioia di quest’ultimo è completata dalla notizia dell’eredità: il dottor Dulcamara, da parte sua, vede gli affari andare alle stelle, perchè tutti attribuiscono la capitolazione di Adina all’effetto miracoloso dell’elisir e si affrettano ad acquistarne in grande copia. Così il ciarlatano si allontana dal paese fra l’entusiasmo generale, accompagnato dalle benedizioni di Adina e Nemorino.
Atto primo - Scena quinta
Il dottore Dulcamara in piedi sopra un carro dorato, avendo in mano carte e bottiglie.
Dietro ad esso un servitore, che suona la tromba. Tutti i paesani lo circondano.
Dulcamara
Udite, udite, o rustici
attenti non fiatate.
Io già suppongo e immagino
che al par di me sappiate
ch’io sono quel gran medico,
dottore enciclopedico
chiamato Dulcamara,
la cui virtù preclara
e i portenti infiniti
son noti in tutto il mondo... e in altri siti.
Benefattor degli uomini,
riparator dei mali,
in pochi giorni io sgombero
io spazzo gli spedali,
e la salute a vendere
per tutto il mondo io vo.
Compratela, compratela,
per poco io ve la do.
È questo l’odontalgico
mirabile liquore,
dei topi e delle cimici
possente distruttore,
i cui certificati
autentici, bollati
toccar vedere e leggere
a ciaschedun farò.
Per questo mio specifico,
simpatico mirifico,
un uom, settuagenario
e valetudinario,
nonno di dieci bamboli
ancora diventò.
Per questo Tocca e sana
in breve settimana
più d’un afflitto giovine
di piangere cessò.
O voi, matrone rigide,
ringiovanir bramate?
Le vostre rughe incomode
con esso cancellate.
Volete voi, donzelle,
ben liscia aver la pelle?
Voi, giovani galanti,
per sempre avere amanti?
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
Ei move i paralitici,
spedisce gli apopletici,
gli asmatici, gli asfitici,
gl’isterici, i diabetici,
guarisce timpanitidi,
e scrofole e rachitidi,
e fino il mal di fegato,
che in moda diventò.
Comprate il mio specifico,
per poco io ve lo do.
L’ho portato per la posta
da lontano mille miglia
mi direte: quanto costa?
quanto vale la bottiglia?
Cento scudi?... Trenta?... Venti?
No... nessuno si sgomenti.
Per provarvi il mio contento
di sì amico accoglimento,
io vi voglio, o buona gente,
uno scudo regalar.
Coro
Uno scudo! Veramente?
Più brav’uom non si può dar.
Dulcamara
Ecco qua: così stupendo,
sì balsamico elisire
tutta Europa sa ch’io vendo
niente men di dieci lire:
ma siccome è pur palese
ch’io son nato nel paese,
per tre lire a voi lo cedo,
sol tre lire a voi richiedo:
così chiaro è come il sole,
che a ciascuno, che lo vuole,
uno scudo bello e netto
in saccoccia io faccio entrar.
Ah! di patria il dolce affetto
gran miracoli può far.
Coro
È verissimo: porgete.
Oh! il brav’uom, dottor, che siete!
Noi ci abbiam del vostro arrivo
lungamente a ricordar.